Ines Prosperini, la nuova maestra

Storie di famiglia dei fratelli ZEZZA: Pasquale, Lelio e Elvinia

Ines Prosperini, la nuova maestra. Mamma di Pasquale, Lelio e Elvinia Zezza.

La corriera arrivò un po’ traballante  nella piazza del paese dove molti paesani si affollavano stringendosi negli scialli le donne e calcaldosi la berretta sulla testa gli uomini. La giovane donna fu l’ultima a scendere con la sua grande valigia, affondando   con le eleganti scarpe nella neve fresca. Si guardò intorno intimidita da quegli sguardi estranei  che parevano chiedersi chi fosse quella piccola graziosa giovane donna dall’aria spaurita e dal fare cittadino. Ferma nello stesso punto, non sapendo che direzione prendere cercava qualcosa nelle tasche dell’elegante cappottino che le aveva cucito la sorella Mariannina per l’occasione.

”Siete voi, la signorina Ines Prosperini, la nuova maestra che stiamo aspettando?” La voce con accento paesano, risuonò quasi intimidita. Lei alzò la testa di scatto e incontrò gli occhi grandi e scuri  di un giovanotto di fronte a lei.

Per un attimo un rossore infuocò le sue guance. ”Sì sono io” rispose con un filo di voce. L’accompagno da mia madre, che, come d’accordo, la ospiterà per tutto il tempo che resterà  nel nostro paese. Io mi chiamo Giuseppe Zezza continuò il giovane.

Le prese di mano la pesante valigia e si incamminarono verso la casa di Alvinia. Ella non poteva immaginare  che il suo destino andava delineandosi, non sapeva che la sua nuova vita sarebbe stata segnata da tanti avvenimenti, belli e brutti; che avrebbe sposato quel giovane, che l’aveva già colpita con quel suo fare così gentile.

Che per lei che veniva  da un città come L’Aquila, quel minuscolo paese sarebbe diventato la sua nuova dimora per lei e per la sua nuova famiglia che avrebbe creato negli anni a venire e dove sarebbero nati i suoi tre figli: Pasquale, Lelio e Elvinia.

Era il suo primo incarico di maestra elementare, ma non vedeva l’ora di conoscere i nuovi alunni e  i paesani. In quel momento non  sapeva che tra i tanti alunni ci sarebbe stato anche  il piccolo Vincenzo, il futuro parroco del paese.

Non poteva immaginare che quel paesello così grazioso  e sereno ed abitato da tanta brava gente sarebbe stato martoriato distrutto  da una terribile guerra.

Ora lei camminava inconsapevole, ma piena di entusiasmo e speranza verso il suo nuovo destino. Sì, quella graziosa giovane maestra era mia madre e quel giovane dai modi tanto  gentili era mio padre. Questa è  la storia della nostra famiglia ed anche un po’ del paese in cui sono nostre radici.
[Elvinia Zezza]

9 NOVEMBRE 1943 – L’ESODO

L’alba del 9 novembre 1943, era fredda, livida e con una pioggia battente. Appena la mamma ci chiamò, io e mio fratello Lelio, saltammo dal letto, con una segreta gioia, perché secondo la nostra incoscienza infantile, stavamo avviandoci verso una nuova grande avventura. Io, con la mamma, i nonni e le zie ci recammo nella piazza Dei Caduti vicino al monumento. C’era una gran folla piangente e disperata di donne e bambini. Gli automezzi tedeschi promessi, che avrebbero dovuto portare la popolazione oltre le loro linee, non c’erano ed il segretario comunale Luigi Preziosi insieme agli anziani del paese ed al parroco, decisero di condurre quella massa di disperati verso il bosco di colle “Mbucatu”.

La marcia fu lunga e dolorosa per il terreno fangoso e per il difficile guado di tanti torrenti in piena. Ognuno portava qualche povera masserizia: io portavo una borsa scolastica a tracolla piena di sale da cucina, che mi aveva affidato nonna Alvinia. Ai piedi portavo scarpe di mio padre numero 40, che spesso rimanevano imprigionate nel fango ed ero costretto a tornare indietro. Mia sorella Elvinia piangeva disperatamente e zia Enrichetta e zia Amalia cercavano in tutti i modi di consolarla.

Dopo una lunga marcia si giunse al bosco di colle “Mbucato”, ove gli uomini avevano preparato una grande tenda con i teloni (rachne) agricoli, ma che poteva ospitare solo le donne ed i bambini, gli altri tutti sotto la pioggia persistente. Spesso venivano pattuglie di soldati tedeschi per frugare tra le modeste masserizie alla ricerca di armi. In più cercavano cittadini di Agnone, perché in quel paese erano stati linciati due soldati tedeschi e volevano sicuramente vendicarsi.

Ad un anziana signora rubarono una bottiglia di Ferrochina Bisleri. A nulla valsero le accorate preghiere di Angelella dichiarando che era una medicina per lei, i giovani soldati si scolarono sghignazzando la bottiglia dicendo: Noi malati.

A mia nonna Alvinia sequestrarono una pignatta piena di sugna da noi usata come condimento, scambiandola probabilmente per esplosivo. Mia nonna fece parecchi tentativi per recuperare la pignatta ma si prese solo calci e spintoni. Io cercai di difendere mia nonna, ma un soldato mi respinse brutalmente. Ma infine la testardaggine di mia nonna vinse la stupidità, con un improvviso scatto ella prese con un dito un po’ di sugna e la leccò. Il soldato capì che era qualcosa di alimentare e restituì la pignatta. Un’altra volta i tedeschi si sbarbarono in una piccola sorgente ove tutti i paesani si approvigionavano di acqua potabile. Per qualche giorno bevemmo l’acqua mista a schiuma da barba.

Dopo qualche giorno trascorso nel bosco ci trasferimmo in una masseria della contrada Canala, quì trascorremmo momenti di terrore per l’incendio di una stalla piena di paglia e rischiammo io, mia madre ed i miei fratelli di essere travolti dagli animali imbizzarriti per il fuoco. Da questa masseria, durante un cannoneggiamento tedesco che proveniva dall’altra parte del Sangro, partimmo a dorso di mulo verso il paese di Castiglione Messer Marino. Mia madre piangeva disperatamente perché non riusciva a stare sul dorso del mulo. Io e mia nonna rimanemmo distaccati dal gruppo, un proiettile di mortaio scoppiò vicino a noi. Stemmo così molte ore nel cratere dell’esplosione fino a quando ci soccorsero alcuni soldati neozelandesi. Io mi ricordo che mi dettero dei biscotti e della cioccolata. Nel paese di Castiglione fummo rifocillati dalla popolazione e ospitati in una scuola.

Dopo qualche giorno alcuni automezzi militari degli Alleati ci trasportarono ad Agnone. Le Autorità ci trovarono prima un temporaneo alloggio in casa della signora Teresa Piccioni. In seguito ci dettero una piccola casa nella contrada “Coll Cazzit”. Il dicembre del 1943 fu terribile per me e a mia famiglia; soffrimmo fame freddo ed umiliazioni. Ricordo che un giorno, avevamo finito le modeste scorte di cibo.

Nevicò per tutto il giorno e la notte. La neve ci bloccò in casa, avendo superato abbondantemente l’altezza della porta. La Provvidenza si presentò a noi sotto l’aspetto di una pattuglia di soldati polacchi, che in cambio di un po’ di caldo vicino al focolare, ci portarono ogni ben di Dio. Da quel giorno fummo sempre aiutati da loro, e trascorremmo un bel Natale. La mia famiglia era composta da Mia madre, mio fratello Lelio, mia sorella Elvinia, i nonni Onorato ed Alvinia zie Amalia ed Enrichetta, lo zio Nicolino Di Vito, i cugini, Domenico, Claudia e Carminuccio.

Ad Agnone mia madre continuò ad insegnare alle scuole elementari io e Lelio frequentammo la stessa scuola. Risiedemmo ad Agnone fino al luglio del 1945 , quando ci trasferimmo a Bari dove lavorava mio padre. Iniziò quindi per tutti noi un nuovo periodo della nostra vita, senza mai dimenticare il nostro paese, né le nostre radici.
[Pasquale Zezza]