Racconti di guerra di Cesare Zezza

L’ARMISTIZIO CON GLI ALLEATI

Cesare Zezza (1916-1998)

Apparentemente nessuno poteva immaginare, in questa seconda guerra mondiale, in cui tutto il mondo era stato diviso in due campi avversari, che gli avvenimenti potevano influenzare, più o meno, direttamente, il territorio santangiolese. È proprio in conseguenza Sant’Angelo stava pe conoscere i giorni più neri della sua storia. Sentiva la crescita giornaliera degli avvenimenti.

L’italiano è fiero di se stesso, del suo paese, del suo modo di vivere, fiero della sua storia come tutti i popoli del mondo. In questo settembre 1943 l’Italia dimentica di trovarsi in stato latente di guerra con nazioni tradizionalmente amiche da lunga data. Tuttavia lo sforzo gigantesco delle forze armate italiane non ha portato i suoi frutti ed eccoci al fatidico 8 settembre 1943.

Nelle prime ore del mattino in un’atmosfera ancora dominata dall’incertezza generale per gli avvenimenti su tutti i fronti, il maresciallo Badoglio annuncia al popolo italiano l’armistizio senza condizioni fra l’Italia e le forze Alleate, ma la guerra continua contro le truppe tedesche. Badoglio, infine, conscio delle conseguenze, dimentica che l’Italia è invasa dalle truppe tedesche.

Dopo la dichiarazione di armistizio, in Sant’Angelo ebbero inizio i primi sintomi della guerra, si notavano soldati italiani di tutte le armi, sbandati, molti dei quali ignoravano che la guerra continuava. A fine settembre si udivano i primi rombi di aerei e precisamente entro il 25 e il 26 in prossimità di Roccaraso le montagne venivano illuminate da bengala, si udirono scoppi, lampi, non si notarono danni di rilievo. Nei giorni successivi iniziò il via vai di camion tedeschi provenienti, probabilmente, dalla zona di Cassino dirigendosi verso l’Adriatico per raggiungere la famosa linea Gotica costruita nel basso Veneto.

Nei primi di ottobre vari comandi dell’esercito tedesco si installarono nelle case, alti ufficiali presero alloggio nel palazzo De Palatis ed in casa Preziosi. Si notavano, a tarda sera, sentinelle armate che vigilavano le strade. Alcuni uomini vennero prelevati e mandati nelle vicinanze per effettuare lavori di carico e scarico di materiali di ogni sorta. Incominciò il rastrellamento di tutti gli animali (muli, cavalli, ecc.) che venivano fatti affluire a Castel di Sangro. Data la mole di automezzi militari che transitavano nella zona, il territorio della Valle del Sangro potevasi considerare zona di guerra pur non considerandosi zona di operazioni. La circolazione interna sempre più difficile e controllata. Il panico regnava senza manifestarlo per tema di rappresaglia.

OTTOBRE 1943

Col passare dei giorni il popolo era convinto che qualche cosa di grave era imminente. Circolavano voci di una totale distruzione delle case senza preavviso.

Nei primi di ottobre si ebbe la prima vittima, il signor Antonio D’Ascenzo. Questi mentre lavorava in un campo in contrada « Giardino » con alcuni suoi familiari, si avvicinò un soldato tedesco, forse lo voleva invitare a seguirlo, ma il D’Ascenzo fece resistenza ed iniziò una colluttazione, solo con l’intervento di un altro soldato che si trovava nelle vicinanze, il D’Ascenzo venne fucilato.

In quasi tutte le case iniziò una vera e propria occultazione di ogni sorta di generi utili. Nei seminterrati vennero improvvisati magazzini per nascondere il più possibile, chiudendo le porte con mezzi e materiali di fortuna. Le posizioni tedesche, costituite da nidi di mitragliatrici e mortai, si notavano nelle vicinanze delle masserie di Gamberale e di Pizzoferrato, le quali non di rado facevano sentire le loro voci che risuonavano vasta eco nella valle del Sangro la cui popolazione non era abituata a tale sequenza.

Un giorno, mentre il signor D’Abruzzo Brandino transitava a cavallo lungo la strada sangrina e proprio in prossimità dell’ultima casa di via Roma, si udì un solo colpo di fucile che colpì il collo del cavallo e questi cadde a terra fulminato mentre il D’Abruzzo se la cavò con la sola paura.

A fine ottobre il comando tedesco fece pressione presso il Comune affinché questo riuscisse a riunire almeno 40 persone valide per essere adibite ai lavori necessari all’esercito. All’uopo il Podestà dell’epoca, Di Ninno Eugenio, per non creare malcontenti da parte della popolazione fece una lista e da questa sorteggiò il numero di uomini richiesti dal comando tedesco. Gli avvenimenti bellici svoltisi successivamente nella zona decisero altrimenti e tali uomini non vennero richiesti e tutto andò per il meglio.

In Sant’Angelo sia di giorno che di notte, le strade erano praticamente deserte. Regnava un silenzio di tomba. Si sentivano solo rumori degli stivali calzati dalle sentinelle che transitavano.

NOVEMBRE 1943

Nei primi del mese di novembre tutti i soldati e comandi vennero sostituiti con altri. Era facile intuire che questi dimostravano ben diverse disposizioni che lasciavano ben poco da sperare. Circolavano voci di un imminente esodo della popolazione.

Le dicisioni vennero prese da ogni singolo cittadino, nella notte 8 e 9 novembre, col favore delle tenebre, gli abitanti abbandonarono le loro case iniziando il cammino silenzioso e triste attraverso i campi, chiacchierando, la strada sembrava breve e le gambe divoravano i chilometri e si arrivò al « Colle infuocato ». La gente si internò con la massima cautela cercando di evitare ogni rumore.

Il sole spuntava quando tutti si misero in moto per tagliare gli alberi e rami in modo da poter costruire capanne per il ricovero. Verso le ore 9 del 9 novembre si udirono i primi scoppi di mine. L’altitudine del bosco permetteva di guardare e sentire la sistematica distruzione. È spaventoso assistere alla scomparsa delle case, del lavoro, degli abiti, del cibo, di tutto quello che costituisce la vita. Tutti si guardavano col terrore della solitudine. Tutto è perduto, rimane la speranza, la fede.

Il paese sembrava avvolto da una foschia folta, verso sera si notavano fiamme sparse, senza dubbio erano fienili che bruciavano. La situazione era drammatica. È da notare che il personale adibito, probabilmente truppa scelta per la distruzione, prima di dar fuoco alle casse di balistite disposte nell’interno delle case, effettuavano accurati sopralluoghi interni allo scopo di accertarsi se vi erano persone nascoste. All’uopo si ricorda che due donne malate e inabile, l’una in un letto in via Vittorio Emanuele e l’altra in via Madonna, vennero trasportate, con il proprio letto, all’estremità del paese in modo da non rimanere vittime del sinistro.

LA BREVE PERMANENZA NEL BOSCO

La vita del bosco diveniva sempre più difficile, sia per la mancanza di cose necessarie, sia perché la pioggia si faceva sentire e quindi non era facile ripararsi sotto le capanne improvvisate con rami di abete. Non di rado gli uomini dovevano abbandonare le capanne e nascondersi fra i cespugli perché una voce suggerita dal panico che sempre regnava, ripeteva la frase : « I tedeschi ». La calma riappariva solo quando altre voci dialettali richiamavano gli uomini.

Dopo qualche settimana di permanenza nel bosco, sempre con le massime cautele, gli uomini fecero ritorno in paese. La grande massa di macerie aveva ostruito tutte le strade, sembrava camminare sulle colline. Non era facile rintracciare la zona della propria casa. Con mezzi di fortuna si iniziò alla rimozione delle macerie per cercare di ritrovare qualche cosa utile e necessaria.

Dopo una quindicina di giorni di permanenza nel bosco e solo quando i primi soldati delle truppe alleate si installarono in paese e precisamente dentro la Chiesa Madre, si fece ritorno in paese sistemandosi, alla meglio, dentro la Chiesa dela Madonna del Carmine.

Le truppe alleate, come precisato, preparavano il loro rancio e dormivano dentro la chiesa. Fuori la porta installarono un mortaio, un altro vicino al monumento. Malgrado la presenza dei soldati alleati, i soldati tedeschi sostavano sempre nelle vicinanze delle masserie di Gamberale e non di rado si sentivano colpi di mitragliatrici. La popolazione convinta che i soldati tedeschi si era allontanati, dopo aver fatto saltare tutti i ponti della strada Sangrina (l’ultimo a far saltare fu quello sul fiume Sangro) iniziarono a costruire qualche muro per facilitare le ricerche di qualche cosa sepolta sotto le macerie.

Nella Cappella della Madonna si dormiva, si cucinava, sembrava di vivere nelle caverne perché la grande massa di fume prodotta dai vari focolari improvvisati, faceva male agli occhi.

Purtroppo tutta questa volontà di sopravvivere, di improvvisare ricoveri di sorta, non davano affidamento perché, sia per l’incalzare della stagione invernale, sia perché le sorti della guerra erano indecise e lontane, si cercava di riunire le proprie idee e trovare qualche cosa che poteva essere sicura e utile. Il tempo passava, i viveri scarseggiavano.

I DUE PRIGIONIERI INGLESI

Durante questo periodo di tempo, in Sant’Angelo si nascondevano due soldati inglesi, prigionieri di guerra provenienti dal campo di concentramento di Sulmona, questi riuscirono a raggiungere il paese. Non è facile stabilire come e quando questi prigionieri incontrarono Luigi Preziosi e questi, dopo averli rifocillati, vennero accompagnati nella vicina Pincera di Agostino Mariani per tema di essere ancora scoperti dai soldati tedeschi rimasti allora nella zona i quali vigilavano attentamente ogni minimo movimento di persone.

La signorina Angelina Preziosi provvedeva ogni giorno a portare loro il mangiare. Dopo qualche tempo i due prigionieri riuscirono a raggiungere le truppe alleate nelle vicinanze di Castiglione M. Marino. A guerra finita i due inglesi, rientrati in Inghilterra, scrissero più volte a Luigi Preziosi citando infine di non poter ricompensare l’aiuto prestato perché non avevano mezzi. A conferma i due prigionieri presero contatto con alti ufficiali inglesi e fecero scrivere a Luigi Preziosi un attestato che giustificava il suo operato nei riguardi di due inglesi.

Nei primi di dicembre due uomini, due donne e un ragazzo, provenienti dalle vicine masserie di Gamberale transitando per la mulattiera che dal fiume Sangro raggiunge il ponte del Mulinello si incontrarono con una pattuglia di soldati, era di notte, i malaugurati credevano che questa pattuglia fosse inglese, uno degli uomini parlò inglese e fu questo il momento in cui un soldato tedesco rispose in inglese, dopo aver appreso che l’uomo sapeva tutte le posizioni delle sentinelle tedesche ancora sparse nelle vicine masserie, fecero allontanare le donne e il ragazzo fucilando i due uomini. A ricordo una lapide è stata eretta nelle vicinanze del ponte.

L’ABBANDONO DI SANT’ANGELO

In un paese distrutto, il problema della vita è angoscioso, mancavano cibi, l’acqua era scarsa. A tamponare queste vitali necessità non vi era altra soluzione: abbandonare il paese distrutto.

Il comando alleato fece pressione da Capracotta affinché la popolazione abbandonasse il paese. Il predetto comando non poteva inviare mezzo di trasporto perché tutti i ponti risultavano distrutti. È forse da questa ambivalenza tragica tra ordine e disordine da parte della popolazione, nasce il dolore, un dolore tra l’altro e cioè il dolore più vivo: quello di abbandonare il paese. E così i santangiolesi, la quasi totalità, nei primi di dicembre decise di raggiungere, a piedi, Capracotta. Le fasi del viaggio, tenuto conto della natura delle strade, la mancanza di forza, ognuno portava qualche piccolo sacco sulle spalle.

Dopo quasi una lunga giornata di cammino si raggiunse capracotta, dove alla periferia, i camion inglesi ed americani ospitarono i profughi effettuando la distribuzione di viveri. La colonna era formata da una decina di camion ed a tarda sera si raggiunse Carovilli dove il comando alleato aveva provveduto a preparare un accampamento. Si cercò di raggruppare tutti i nuclei familiari per non creare confusione.

A Carovilli si rimase per una settimana. In questo periodo nacque un bambino e la partoriente venne assistita da un medico polacco ed il bambino porta il suo nome (Enrico). Da Carovilli, sempre per mezzo di camion, i profughi vennero fatti affluire a Campobasso. La sosta si protrasse per ancora una settimana. Di qui si partì in treno (carri merci) per raggiungere la città di Bari. Qui si sostò per qualche giorno e poi si raggiunse, il giorno di Natale, la stazione di Taranto. Sempre in treno, si raggiunse la Basilicata e precisamente il Comune di Pisticci in provincia di Matera. Tutti i profughi vennero fatti alloggiare in aule scolastiche.

A ciascun profugo vennero consegnate due coperte, un materasso, una ciotola di alluminio, cucchiaio e forchetta. Il pasto veniva confezionato e servito dal personale del Comune con l’aiuto di qualche persona scelta fra i profughi. Dopo qualche settimana di permanenza a Pisticci iniziò lo smistamento nei vari comuni delle Puglie. Alcuni vennero inviati a Martina Franca, altri a Castellaneta, Oria, SanVito dei Normanni, Trani. Circa un centinaio, a mezzo autocorriera, raggiunse il Comune di Montescaglioso. In questo grande centro agricolo si arrivò la sera del 31 dicembre 1943. Le autorità del Comune misero a disposizione il pian tereno della casa comunale. L’accoglienza, da parte della popolazione di Montescaglioso, fu calorosa. Il mattino del 1° gennaio 1944 tutti i santangiolesi vennero invitati a pranzo dalla popolazione. Ogni giorno le donne del paese portavano viveri.

Col passare del tempo il Comune organizzò una specie di refettorio in modo che ciascuno, a mezzogiorno, disponeva di un piatto caldo. Questo refettorio, per ragioni diverse, venne soppresso e ciascuna famiglia, con mezzi di fortuna, provvedeva a confezionarsi la propria cucina.

I PRIMI SEGNI DI RICOSTRUZIONE DI SANT’ANGELO

A primavera inoltrata ed anche perché le notizie dello svolgimento delle operazioni belliche consigliarono a qualche santangiolese di cercare di raggiungere il paese. Molti capifamiglia fecero ritorno per poter incominciare la rimozione delle macerie. Tutta la buona volontà dei santangiolesi che fecero ritorno non poteva essere coronata da risultati soddisfacenti perché mancavano vie di comunicazione, materiali, attrezzatura, ecc. L’inverno 1944 fu triste, cadde molta neve che rimase fino al mese di aprile. A Montescaglioso i profughi di Sant’Angelo vi rimasero per la quasi totalità dell’anno 1945. A scaglioni si iniziò il ritorno in paese. Alcune famiglie trovarono alloggio in Agnone.

La ricostruzione presentava molte difficoltà, la mancanza di mezzi di trasporto, vie di comunicazioni interrotte. Data la necessità e la volontà dei santangiolesi, dopo qualche tempo si ebbe la sensazione di vedere qualche muro, sembrava un miraggio. In paese grazie alla tenacia volontà di Agostino Mariani ebbe inizio la fabbricazione di coppi e grazie anche a Di Giulio Nicola (pasticcio) il quale improvvisò una fornace di calce. Fu così che si ebbero i primi materiali. In un paese a pezzi, come molti comuni d’Italia, dopo circa cinque anni di guerra, il problema di vettogliamento era angoscioso. Per far fronte a queste vitali necessità intervenne l’aiuto del Comitato U.N.R.R.A. (Casas organizzazione delle Nazioni Unite per approvvigionare i paesi disastrati dal conflitto).

A dirigerla c’era un dinamico senatore italo americano Fiorello La Guardia.

A Castel di Sangro, come Villa S. Maria l’ U.N.R.R.A. imprivvisò due distaccamenti con relativi uffici di assistenza muniti di automezzi, i quali, a richiesta, vinivano fatti affluire al paese. Detti automezzi venivano adibiti per il trasporto di meaeriali necessari per la ricostruzione. Il richiedente aveva la spesa del costo dei materiali, il trasporto era gratuito.
La ricostruzione di Sant’Angelo è dovuta solo ed unicamente alla volontà e alla necessità dei privati. Per nulla scoraggiati dal clima di abbandono a dispetto di tutte le condizioni sfavorevoli e scoraggianti sono riusciti a rendersi efficienti senza nessuna assistenza sanitaria, poste, trasporti funzionavano quando e come potevano.

L’AIUTO IRRISORIO DA PARTE DELLO STATO

Lo Stato intervenne con una legge che consentiva una stima dei lavori da eseguire, senza tener conto del danno, non superiore alle 300.000 lire con un contributo de 50%.
Successivamente e precisamente a fine anno 1946 venne emanata una successiva legge che aumentava la stima dei lavori da eseguire a lire 500.000 con il contributo del 50%. Questo aiuto irrisorio da parte dello Stato non fa altro che aumentare i disagi.

La miseria indescrivibile fa marcire i cuori, sembra un vero purgatorio c’è esagerazione di dipingere il diavolo più nero di quello che in realtà è. La verità è che lo Stato in materia di miracoli non è alla sua prima esperienza. Bisogna saper distinguere tra l’Italia pubblica ed Italia privata. A questo punto ha prevalso quella privata.

L’EMIGRAZIONE

Un altro fattore principale: l’emigrazione. Questa è antica quasi quanto la sua storia, ma si è particolarmante sviluppata, specialmente subito dopo l’ultimo conflitto mondiale. America del sud e del nord accolsero l’emigrato santangiolese, così in Europa.

Per capire l’importanza di quello che si può definire un vero esodo che ha privato il paese di tutte le sue forze vive, basti pensare che il Comune di Sant’Angelo è stato letteralmente spopolato: ha prevalso l’emigrazione. Queste valli, turisticamente splendide, come soggette ad un’antica maledizione, sono sempre state ignorate e mancano, quindi, ancora oggi, delle più elementari infrastrutture capaci di incentivarne lo sviluppo.

Il piccolo villaggio, da tempo pieno di vita, è vuoto o abitato da vecchi che vivono emarginati la quasi totalità dell’anno in una malinconica solitudine. Si è detto la quasi totalità dell’anno perché gli emigrati tornano a riportare un pò di vita ogni agosto, con la speranza, ogni anno delusa, di trovare materia di ottimismo per il futuro, ma il tempo passa inesorabile sulle cose e sugli uomini e l’agonia di questa magnifica valle continua, cullata ogni tanto dal canto di qualche passero solitario al quale nessuno crede più.