S’Angelo 2045

S' Angelo 2045

Torno spesso al mio paesello, un piccolo borgo dell’entroterra molisano, immerso tra le montagne della Val di Sangro, proprio al confine tra tre province – Isernia, la mia, Chieti e L’Aquila – e due regioni, Abruzzo e Molise.

Dopo un lungo viaggio per il mondo, tra aerei, TGV e Frecciarossa, arrivo finalmente alla mia stazione del cuore: Fossacesia/Torino di Sangro. È lì che sento l’aria di casa. Salgo su un taxi e inizia l’ultimo tratto del viaggio, quello più familiare e più atteso: la strada verso il Molise, verso il mio paese.

Lungo il tragitto si aprono davanti agli occhi paesaggi che conosco a memoria. Tra gallerie e alti viadotti, ogni curva è un ricordo, ogni scorcio una piccola emozione. Il percorso è comodo, grazie alla Fondovalle Sangro (SS 652), una strada che avrebbe dovuto unire in modo veloce l’Adriatico al Tirreno. Avrebbe dovuto, appunto: da quasi quarant’anni è rimasta un’eterna incompiuta, simbolo di promesse mancate e lentezze burocratiche.

Superata la parte abruzzese, arriviamo a Quadri, dove la segnaletica ci invita a uscire in direzione Sant’Angelo del Pesco. Mancano appena otto chilometri: un breve tratto che per noi molisani coincide con la strada provinciale SP 88. Parte da Quadri, in provincia di Chieti, e conduce direttamente al cuore del Molise, a Sant’Angelo del Pesco.

Dopo circa un chilometro dall’uscita imbocchiamo il tratto molisano della SP 88, gestito dalla provincia di Isernia. È qui che il viaggio cambia volto. Il taxi, finora scorrevole, è costretto a una brusca frenata: grossi blocchi di cemento e cartelli di restringimento riducono la carreggiata a passaggi così stretti da sembrare millimetrici. La strada, sconnessa e malridotta, dà l’impressione di finire da un momento all’altro.

Qualche metro più avanti un cartello ci accoglie: “Benvenuti in Molise, Sant’Angelo del Pesco, provincia di Isernia.” È qui che ha inizio il paese e, proprio da questo punto, per chi ogni giorno attraversa Contrada Canale per raggiungere la scuola o il lavoro nella vicina zona industriale di Atessa, iniziano i problemi.

Procediamo a passo d’uomo lungo la nostra Contrada Canale. Il fondo stradale è un mosaico di buche e voragini, e ogni curva nasconde un insidia. L’auto sobbalza di continuo, mentre i ponti — stretti e malandati — mettono a disagio chi li attraversa. In diversi punti la carreggiata si restringe a una sola stretta corsia, delimitata da blocchi di cemento che impongono manovre millimetriche. È un tratto di pochi chilometri che conduce direttamente al paese, eppure sembra interminabile. E viene spontaneo pensare: “Benvenuti nel Terzo Mondo!”.

Ciò che fa più rabbia è sapere che questa situazione si trascina da oltre dieci anni. Il tratto molisano della SP 88 presenta criticità strutturali e, invece di intervenire con una manutenzione adeguata, si è scelto semplicemente di vietarne l’accesso ai mezzi pesanti. Così, da quasi vent’anni, la strada versa in uno stato di abbandono, causando pesanti disagi agli abitanti di due regioni, tre province e dell’intera comunità di Sant’Angelo del Pesco, che sembra ormai dimenticata dal resto del mondo.

Con il passare degli anni il manto stradale è peggiorato fino a diventare quasi impraticabile. Ricorda una strada uscita dalla Seconda guerra mondiale, ma qui non ci sono stati bombardamenti: a ridurla così è stata l’incuria delle autorità competenti — provincia, regione, ANAS e altri enti responsabili. Anni di mancata manutenzione, controlli insufficienti, interventi tardivi e trascuratezza verso problemi noti hanno portato la strada a un livello di degrado che mette in discussione sicurezza e funzionalità.

Per chi percorre ogni giorno questo tratto di strada — i santangiolesi e, ancor più, gli abitanti della zona di Contrada Canala — tornare a casa è diventato un vero incubo. Si viaggia sempre con la speranza di non imbattersi in un mezzo pesante bloccato tra i blocchi di cemento o fermo su qualche ponte in curva, senza alcuna possibilità di manovra.

Dall’altro lato del confine, in Abruzzo, le province di Chieti e dell’Aquila intervengono puntualmente sui tratti di loro competenza. E allora riaffiora un pensiero amaro: una volta Abruzzo e Molise erano una sola regione.

La situazione è arrivata al limite e l’emergenza è ormai insostenibile: la SP 88 è quasi impraticabile e, se i ponti logorati dal tempo dovessero cedere, la chiusura definitiva sarebbe inevitabile. Per Sant’Angelo del Pesco l’isolamento sarebbe totale, con il rischio di tagliare fuori il paese dai servizi essenziali e di rendere ancora più difficile la vita quotidiana di chi ci abita.

Finalmente arriviamo in paese, a Sant’Angelo del Pesco. Il tassista si ferma, mi guarda, sospira e mi dice: — Mamma mia, ce l’abbiamo fatta!

Sorrido, ma dentro provo rabbia e delusione. Questo breve racconto rispecchia la realtà del nostro piccolo paese: un luogo meraviglioso, ma ormai abbandonato al proprio destino. Lo spopolamento avanza, la rassegnazione cresce e la speranza fatica sempre più a riaffiorare. Le conversazioni al bar sono intrise di nostalgia e di un senso di impotenza disarmante; si parla di un paese sempre più isolato e malinconico, come se il suo destino fosse già scritto. È una realtà che accomuna molti piccoli centri di montagna, non solo a livello nazionale ma anche europeo, che giorno dopo giorno si spengono lentamente.

Secondo un’analisi condotta nel 2018 sul calo demografico nei piccoli centri dell’entroterra molisano, per Sant’Angelo del Pesco il punto simbolico di questo lento declino sarebbe il 2045, anno in cui si ipotizza un’assenza totale di abitanti.

E così, strada facendo, tra un blocco di cemento e una buca, tra un ponte malconcio e una frenata improvvisa, ho scritto questi pochi versi nel mio dialetto. Sono un richiamo al destino del mio piccolo paesello, lo stesso che accomuna tanti borghi di montagna: luoghi destinati a scomparire, soffocati dalla mancanza di vita e di futuro.

Eppure, nonostante tutto, dentro di me continua a sopravvivere una speranza.

Santagnr

Le cas sc’tién tutt ammucchiét,

z’ saglia, za scégna, l’ vìj so’ tutt strett.

R’ bar, la chiesa, r’ monument.

C’ sta pur r’ campsant.

D’estat fa n’ call ch z’ mora,

d’inviérn fa n’ fridd ch z’ schiatta.
A Natal z’artruvemm tutt quiénd,
e attorn a r’ fuoc… e na b’llezza.

L’ més d’aust la chiézza e quiéna:

«uè, uaglió, si armnut?»

«Uè, bongiorn, p’gliémmz n’ café!»

Ma ciert volt n’ sié mang chi é.

Joh, ch biell paés ch siv:

tutt quiend t’vulevn.

E la bella fn’strella,

addó r’ munn t’ guardeva…

t’ so tolda pur chella.

N’paés ch n’ z’ pó chiú arraccunt’,

n’dé chiú la b’llezza d’ na volta.

O forz, z’ la té annascosta,

p’ paura ch’arruvin’n pur chella.

Tniv cos bell,

ma mó n’ tié chiú niénd.

E tutt dic’n: sié n’ struócc’ d’ paés,

e sol na griéza de la Madonna

t’ pó salv’ da stà dsgriéza.

Ch fina si fatt, pov’r paés!