Generazione “zeta“: i social sono diventati veri e propri spazi di autorivelazione

Generazione “Z“ - EMMA PIFFARETTI, Atleta svizzera, classe 2002. Salto in lungo femminile: Medaglia d'argento ai Campionati europei U18; campionessa nazionale U20 - Photo: © leMultimedia.info / Oreste Di Cristino [Swiss Athletics Championships SM Basel 2020]

MATTIA PIFFARETTI, Psicologo dello Sport

𝗔𝘁𝗹𝗲𝘁𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗴𝗲𝗻𝗲𝗿𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 “𝘇𝗲𝘁𝗮”
La generazione di Internet, dei social network e della rete, nata durante un periodo di recessione economica ha sviluppato un nuovo rapporto con il mondo agonistico sportivo con metodi completamente innovativi per affrontare le grandi sfide…

L’intervista completa a MATTIA PIFFARETTI
PhD, Psychologue spécialiste en psychologie du sport FSP

Siamo davvero di fronte a una nuova generazione di sportivi?

Esatto, abbiamo una nuova generazione cresciuta con le nuove tecnologie informatiche. Infatti, fin da piccoli hanno avuto un’esposizione senza precedenti a modelli di vita attiva che li esortano a mantenere il proprio corpo in ottima forma fisica. Inoltre, si tratta di una popolazione che ama il gioco, per cui i videogiochi sostituiscono o talvolta superano la loro realtà. Gli effetti sono ambivalenti: se da un lato c’è il rischio di sedentarizzazione, di dipendenza dal mondo virtuale, dall’altro c’è una tecnologia che permette un’esperienza sportiva del tutto nuova con vantaggi e opportunità come un monitoraggio più completo, dando allo sport un aspetto più equo, ma forse meno umano. Penso sia alla tecnologia delle linee di porta che alle corse, dove gli atleti sono sempre più separati da un millesimo di secondo, grazie ai dati della telemetria. Questi giovani si evolvono in un mondo inondato di informazioni che proteggono la loro salute permettendo loro di monitorare meglio alcuni aspetti delle loro prestazioni.

In questo universo, quale sarà il loro rapporto col safeguarding?

Questa giovane generazione non è più disposta ad accettare i messaggi violenti che hanno macchiato l’integrità mentale e fisica degli atleti che li hanno preceduti. Questa è una generazione che si affida al piacere e il suo rapporto con lo sport è individuale ed esclusivo, con meno sottomissione e compiacimento rispetto al passato. La gestione dello stress in questi giovani avviene con la piena accettazione del fenomeno, che a volte li porta a ritirarsi da una competizione per darsi il tempo di recuperare. Oggi la salute mentale è la loro priorità, si preoccupano del proprio equilibrio psicologico, sono più attenti alle loro emozioni e ne parlano apertamente attraverso i social network che sono diventati veri e propri spazi di auto-rivelazione.

Cosa c’è di diverso in loro rispetto a Serena Williams o Roger Federer?

Hanno un’identità più varia e multidimensionale di queste ex star. Accanto all’attività sportiva, questi giovani fanno spazio ad altre attività: viaggi, lavori saltuari, studi o progetti a breve e medio termine riempiono la loro vita quotidiana. Questo è un aspetto positivo perché dà a questa generazione di atleti la possibilità di tornare ad altre attività in caso di ostacoli come un calo di motivazione o un infortunio. Questo gruppo di giovani è molto meno inflessibile e determinato a impegnarsi a lungo.

Che dire della motivazione?

La loro motivazione non si fissa su un unico punto, ma si rinnova costantemente. Questi giovani sono quindi alla costante ricerca di risultati. Per il desiderio di superarsi ogni volta, gli obiettivi e le sfide vengono costantemente riscritti. La collaborazione, il lavoro di squadra e le spiegazioni personalizzate parlano ai ragazzi e li stimolano più degli esercizi basati sulla ripetizione.

Qual è il rischio per un atleta quantificato?

Il pericolo maggiore è la prosecuzione dell’attività fisica a causa di un calo o addirittura di una perdita di motivazione, perché di fronte alla durezza di certe situazioni, a volte possono mancare resistenza e resilienza. Il loro tallone d’Achille è infatti la perseveranza.

E quali consigli si possono dare al loro entourage?

Il loro entourage sarà: vicino, soprattutto nei momenti difficili e cruciali. Devono rispondere con un nuovo stile di comunicazione in cui la condivisione e la partecipazione fanno da sfondo, in uno stato d’animo che sia costruttivo e democratico, in modo che l’atleta rimanga indipendente. Infine, dobbiamo essere leader trasformazionali offrendo loro dei modelli da seguire, poiché si tratta di un modo di fare con cui hanno molta familiarità.

La versione originale in francese la trovate qui