Il rito antico della macellazione del maiale

Sant'Angelo del Pesco, Molise – Sulla foto si riconoscono i santangiolesi: c’fasan (Mariano Delle Donne), tonin d’ nunz (Antonio Sciulli), guglielm (Guglielmo Delle Donne), m’ngariell (Domenico Di Lucente), pepp d’ pascalina (Giuseppe Delle Donne), d’mncucc’ d’ fonzina (Domenico Mariani), d’laita (Nicola Leone), tummas (Tommaso Zaccardi) e m’scchitt (Mariano Di Nucci). – Archivio vivisantangelo

Ci sono momenti in cui è bello perdersi tra vecchie fotografie, frammenti di un passato che sembra lontano ma ancora vivo nei ricordi. Non sono solo immagini, ma racconti: piccole finestre su un’epoca fatta di resilienza, dignità e comunità. È un viaggio nella vita contadina in anni segnati dalla miseria ma anche da una straordinaria capacità di trasformare il poco in molto, grazie a mani abituate alla fatica e ricche di creatività.

L’inverno arrivava puntuale, portando il suo carico di freddo e cieli grigi. Era una stagione che si attendeva quasi con rispetto: un tempo di raccoglimento, di ritmi comunitari scanditi da riti che univano famiglie e generazioni. Tra questi, uno dei più solenni era la macellazione del maiale. Non era solo una necessità alimentare, ma un rito antico che raccontava appartenenza e condivisione.

Sant’Angelo del Pesco, Molise – Sulla foto si riconoscono i santangiolesi: v’ttor (Vittore D’Abruzzo), carmnucc’ d’amalia (Carmine Di Lucente), fior (Fiore Saia), palumm (Mariano Nucci), … – Archivio vivisantangelo

Un copione tramandato con cura

Era una tradizione antica, una testimonianza di appartenenza e un ponte tra le generazioni. Ogni famiglia seguiva un copione tramandato con cura. La preparazione iniziava giorni prima. Gli strumenti venivano puliti con meticolosità, gli spazi organizzati. Quando finalmente arrivava il giorno, il cortile si animava. Gli uomini, concentrati e decisi, affrontavano le fasi più pesanti; le donne si dedicavano alla preparazione di tutto il necessario e al supporto logistico. Anche i bambini avevano un ruolo, silenzioso ma cruciale: osservavano. Occhi spalancati, cuore emozionato, assorbivano ogni gesto, ogni parola, come una lezione di vita da custodire.

Non c’era un posto specifico per i piccoli, ma trovavano sempre un angolo da cui assistere. Era uno spettacolo solenne, quasi sacro. Dietro ogni movimento c’era una saggezza antica, un rispetto profondo per l’animale che, cresciuto con cura, avrebbe nutrito la famiglia nei mesi più duri. Ogni parte del maiale era preziosa, nulla veniva sprecato. Ed era proprio in quella parsimonia che si rifletteva una cultura del rispetto per la terra e i suoi frutti.

Un rito di appartenenza

Le voci degli adulti si intrecciavano al vapore che si alzava dai pentoloni, creando un’atmosfera al tempo stesso familiare e solenne. Gli sguardi erano attenti, ma mai freddi. Al contrario, trasmettevano gratitudine, consapevolezza di un sacrificio che portava abbondanza e sicurezza. Per i bambini, quel momento non era solo un lavoro degli adulti: era un insegnamento profondo. Si imparava il valore del sacrificio, la pazienza del lavoro ben fatto, il senso di responsabilità verso ciò che si aveva.

Un’eredità da custodire

La macellazione del maiale non era solo fatica; era festa, gratitudine, trasmissione di un’eredità culturale. Ogni prodotto preparato – dal salame alla salsiccia, dal lardo al prosciutto – aveva un significato che andava oltre il cibo. Era un dono per le famiglie, un simbolo di accoglienza per gli ospiti, un motivo di orgoglio da condividere con chiunque bussasse alla porta.

Quei momenti, tra il freddo pungente e il calore del fuoco, insegnavano a vedere oltre la materialità del gesto. Erano un ponte invisibile tra passato e futuro, un filo che legava generazioni. E noi bambini, che osservavamo con serietà inconsueta, sapevamo che un giorno sarebbe toccato a noi portare avanti quel rito. Sotto i cieli plumbei dell’inverno, tra voci e gesti antichi, si trasmetteva molto più di una tradizione. Si imparava a riconoscere il valore della vita, della comunità e del lavoro.

In quei pomeriggi d’inverno, sotto cieli di piombo e tra il vapore che saliva dai pentoloni, imparavamo molto più di come si lavorava un maiale. Imparavamo il valore del sacrificio, della fatica e del rispetto per tutto ciò che la vita, anche nei suoi aspetti più duri, ci offriva. Un insegnamento che, anche oggi, non dovrebbe mai andare perduto.